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L’Europa contro se stessa: come lo stop al gas russo ha accelerato il declino economico europeo.

Una ricostruzione critica e documentata delle scelte energetiche europee dal 2022 al 2027: prezzi fuori controllo, perdita di competitività industriale e responsabilità politiche interne all’UE. Perché il disastro economico europeo non nasce a Mosca, ma a Bruxelles.

Fabrizio TerziDecember 17, 2025
7 min Fabrizio Terzi December 17, 2025
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Indice dell'articolo:

L’Europa contro se stessa: come lo stop al gas russo ha accelerato il declino economico europeo.

Questo articolo parte da una tesi chiara, impopolare nei palazzi di Bruxelles ma sempre più diffusa tra imprese, lavoratori e territori: la crisi energetica ed economica europea non è stata causata dalla Russia, ma dalle scelte politiche dell’Unione Europea. Mosca è stata il fattore scatenante, non la causa strutturale del disastro.

Lo stop progressivo al gas russo non è stato un atto tecnico né una necessità inevitabile. È stata una decisione politica volontaria, assunta senza un piano industriale credibile, senza una vera unione energetica e senza considerare le conseguenze asimmetriche sui diversi Paesi membri. L’Italia e l’Europa continentale ne stanno pagando il prezzo più alto.

Non si tratta di difendere il Cremlino, ma di fare ciò che l’Europa ha smesso di fare da anni: analisi razionale dei fatti.


Dipendenza energetica: una relazione funzionale, non un ricatto

Per oltre trent’anni, il gas russo ha rappresentato una fornitura stabile, prevedibile e competitiva per l’industria europea. I contratti a lungo termine indicizzati, la prossimità geografica e l’infrastruttura via gasdotto garantivano prezzi bassi e continuità di approvvigionamento. Questa non era una anomalia geopolitica: era una relazione economica razionale tra due aree complementari.

Nel 2021 il gas russo copriva circa il 40% delle importazioni europee. Non perché l’Europa fosse “inermi”, ma perché era la fonte più efficiente disponibile. In particolare per Germania e Italia, il gas russo costituiva la base energetica su cui poggiava l’intero sistema industriale.

L’idea che questa relazione fosse intrinsecamente un “ricatto” è una riscrittura retroattiva della storia. Fino al 2021, la Russia non aveva mai interrotto unilateralmente le forniture verso l’Europa occidentale, nemmeno durante la Guerra Fredda. La stabilità energetica europea è stata sacrificata non per necessità tecnica, ma per allineamento politico.


Lo shock dei prezzi: un suicidio economico annunciato

Dopo il 2022, l’Europa ha deliberatamente rinunciato alla fonte energetica più economica a sua disposizione, sostituendola con GNL importato via nave, soggetto a volatilità globale, concorrenza asiatica e costi infrastrutturali enormi.

I risultati sono noti e documentati. Nel luglio 2022 il prezzo del gas al TTF ha raggiunto i 300 €/MWh, circa otto volte i livelli pre-crisi. Nel 2025, nonostante la normalizzazione, i prezzi restano stabilmente tra 35 e 50 €/MWh, ovvero due o tre volte superiori alla media storica.

Questo differenziale non è temporaneo. È strutturale. Significa che l’Europa ha scelto di rendere strutturalmente più caro il proprio sistema produttivo.

Negli Stati Uniti, grazie a gas domestico abbondante e contratti stabili, l’energia costa una frazione. Il risultato è un divario industriale che non può essere colmato con sussidi o retorica verde.


Industria europea: competitività distrutta per decisione politica

I dati sul confronto energetico transatlantico sono impietosi. L’industria europea paga l’elettricità circa il 158% in più rispetto al Nord America e il gas fino al 345% in più. Per settori ad alta intensità energetica — chimica, acciaio, vetro, ceramica, carta, fertilizzanti — questo significa perdita immediata di competitività globale.

Non è un caso se BASF riduce la produzione in Germania e investe negli USA, se ArcelorMittal congela impianti europei o se l’industria italiana parla apertamente di deindustrializzazione. Non è colpa del mercato: è una conseguenza diretta delle scelte UE.


Italia: il caso più emblematico del fallimento europeo

L’Italia è uno dei Paesi più colpiti. Nel primo semestre del 2025, il costo medio dell’elettricità per le imprese italiane ha raggiunto i 278 €/MWh, contro i 171 €/MWh della Spagna e i 183 €/MWh della Francia. Questo divario non deriva da inefficienza industriale, ma da scelte energetiche e infrastrutturali.

Per un’impresa manifatturiera italiana, il solo costo dell’energia genera uno svantaggio competitivo fino al 90% rispetto a un concorrente spagnolo. In queste condizioni, parlare di “transizione giusta” è una provocazione.


GNL: infrastrutture costose, strategia miope

Per sostituire il gas russo, l’UE ha investito miliardi in terminali di rigassificazione. Dal 2022 al 2025 la capacità è aumentata di circa 58 miliardi di metri cubi. Ma la domanda europea di gas è in calo e i terminali risultano già oggi sottoutilizzati, con tassi di utilizzo scesi sotto il 50%.

Questo significa capitale immobilizzato, costi fissi permanenti e infrastrutture destinate a diventare stranded assets. L’Europa ha reagito all’emergenza con soluzioni costose e temporanee, senza una visione industriale di lungo periodo.


Un’Europa energeticamente frammentata

Il problema è aggravato dalla frammentazione del mercato energetico europeo. Oltre un terzo della capacità GNL si concentra in Spagna, ma i collegamenti con il resto del continente sono insufficienti. Ogni Stato negozia da solo sul mercato globale del GNL, pagando di più e competendo con i propri partner.

Questa non è un’unione energetica. È una somma di egoismi nazionali mascherati da strategia comune.


Come si forma il prezzo finale dell’energia in Europa: il meccanismo del prezzo marginale

Uno dei punti meno compresi — e raramente spiegati nel dibattito pubblico — riguarda il modo in cui viene determinato il prezzo finale dell’elettricità nei mercati europei. Ed è qui che emerge un paradosso centrale: il prezzo non viene fissato dall’energia più economica disponibile, ma dall’ultima e più costosa necessaria a soddisfare la domanda.

Il mercato elettrico europeo funziona secondo il cosiddetto meccanismo del prezzo marginale (pay-as-clear). In ogni ora del giorno, i produttori di energia offrono elettricità indicando quantità e prezzo minimo accettabile. Le offerte vengono ordinate dalla più economica alla più costosa — rinnovabili, nucleare, carbone, gas — e accettate progressivamente fino a coprire la domanda prevista.

Il punto cruciale è questo: tutta l’elettricità venduta viene pagata al prezzo dell’ultima unità necessaria, cioè quella più costosa entrata in produzione. Nella maggior parte delle ore europee, soprattutto dopo il 2022, questa unità marginale è una centrale a gas.

Il risultato è controintuitivo ma devastante: anche quando gran parte dell’elettricità è prodotta da fonti a basso costo (rinnovabili, nucleare, idroelettrico), il prezzo finale per imprese e consumatori viene agganciato al costo del gas, che è diventato la fonte più volatile e cara del sistema.

In pratica, l’Europa ha costruito un mercato in cui:

  • l’energia rinnovabile a costo quasi nullo viene pagata come se fosse gas;
  • il prezzo finale riflette il peggior costo marginale, non il miglior costo medio;
  • ogni shock sul gas si trasmette immediatamente a tutta la bolletta elettrica.

Prima del 2022, questo meccanismo produceva prezzi relativamente bassi perché il gas russo via gasdotto era abbondante e competitivo. Dopo lo stop al gas russo, lo stesso meccanismo ha trasformato il gas — ora importato come GNL a prezzi globali — nel moltiplicatore principale della crisi.

Non è un incidente. È una conseguenza diretta del design del mercato.

La Commissione Europea ha riconosciuto il problema solo ex post, introducendo correttivi temporanei (price cap sul gas, tetti inframarginali, redistribuzioni), ma senza mettere in discussione l’impianto strutturale del prezzo marginale, che continua a trasferire il costo dell’energia più cara a tutto il sistema.

In altre parole: anche se l’Europa producesse il 70–80% della sua elettricità da rinnovabili, finché il prezzo sarà fissato dal gas, il beneficio per l’industria resterà limitato.

Questo spiega perché molti operatori industriali parlano di una distorsione sistemica: non è solo il costo del gas a essere elevato, ma il fatto che il mercato europeo è progettato per amplificarne l’impatto, invece di assorbirlo.


Il phase-out del 2025–2027: una scelta ideologica

L’accordo del 3 dicembre 2025 che impone lo stop totale al gas russo entro settembre 2027 rappresenta il punto di non ritorno. Le sanzioni previste — fino al 300% del valore delle transazioni — dimostrano che non si tratta di una scelta economica, ma di una decisione ideologica blindata per legge.

Le poche eccezioni concesse a Ungheria e Slovacchia mostrano implicitamente ciò che Bruxelles non ammette: la scelta non è sostenibile per tutti.


La narrazione del “prezzo della libertà”

La Commissione Europea sostiene che il costo economico sia il prezzo della sovranità. Ma questa narrazione ignora un fatto essenziale: la sovranità economica si fonda su industria, occupazione e competitività, non su slogan.

Un’Europa deindustrializzata, dipendente da GNL americano e da tecnologie estere, è davvero più sovrana? O ha semplicemente sostituito una dipendenza efficiente con una più costosa e politicamente conveniente?


Conclusione: il disastro è europeo, non russo

Il declino economico europeo non è stato imposto da Mosca. È il risultato di:

  • trent’anni di mancata pianificazione energetica;
  • una transizione verde priva di base industriale;
  • l’illusione che la geopolitica possa ignorare l’economia reale;
  • la subordinazione strategica agli interessi extraeuropei.

La Russia ha reagito a uno scontro geopolitico. L’Europa ha reagito contro se stessa.

Se l’UE continuerà su questa strada, il costo non sarà solo bollette più alte, ma perdita permanente di capacità produttiva, lavoro e autonomia reale. E allora la domanda finale non sarà più se lo stop al gas russo fosse giusto o sbagliato, ma se l’Europa potesse permetterselo.


Fonti e riferimenti

  1. Energiaoltre – L’Europa ha veramente perso 1,3 trilioni di euro senza il gas russo https://energiaoltre.it/leuropa-ha-veramente-perso-13-trilioni-di-euro-senza-il-gas-russo/

  2. Energiaoltre – Allarme competitività: l’industria europea paga l’elettricità il 158% e il gas il 345% in più rispetto agli USA https://energiaoltre.it/allarme-competitivita-lindustria-europea-paga-lelettricita-il-158-e-il-gas-il-345-in-piu-rispetto-agli-u

  3. Rinnovabili.it – Importazioni di gas russo, l’UE chiude la porta a Mosca https://www.rinnovabili.it/mercato/politiche-e-normativa/importazioni-di-gas-russo-ue/

  4. Rinnovabili.it – Phase-out del gas russo: date e divieti del regolamento UE https://www.rinnovabili.it/energia/infrastrutture/phase-out-del-gas-russo-date-divieti-regolamento-ue/

  5. Rinnovabili.it – Abbiamo superato il picco della domanda europea di GNL? https://www.rinnovabili.it/mercato/politiche-e-normativa/domanda-europea-di-gnl-oltre-picco/

  6. Confindustria – Energia, il divario che pesa sulla competitività: in Italia le bollette più alte d’Europa https://www.confindustria.it/news/energia-il-divario-che-pesa-sulla-competitivita-in-italia-le-bollette-piu-alte-deuropa/

  7. Euronews – Accordo nell’UE per il divieto alle importazioni di gas dalla Russia https://it.euronews.com/my-europe/2025/12/03/accordo-nellue-per-divieto-a-importazioni-di-gas-dalla-russia-eccezioni-per-ungheri

  8. Eunews – L’UE chiuderà i rubinetti di gas dalla Russia entro settembre 2027 https://www.eunews.it/2025/12/03/lue-chiudera-i-rubinetti-di-gas-dalla-russia-entro-settembre-2027/

  9. Europarlamento Europeo – Stop alle importazioni di gas russo: via libera definitivo https://www.europarl.europa.eu/news/it/agenda/plenary-news/2025-12-15/2/stop-alle-importazioni-di-gas-russo-via-libera-definitiv

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